Con l’arrivo della primavera, insieme al bel tempo, ritorna anche lei, la Thaumatopoea pityocampa, più comunemente conosciuta come Processionaria. Si tratta di piccole larve, che prendono il nome dall’abitudine peculiare di muoversi sul terreno in fila, formando una sorta di “processione” e la più comune è quella del pino.
Nello specifico si tratta di un insetto dell’ordine dei lepidotteri di cui la larva è solo lo stadio uno dei 5 stadi evolutivi. Da adulti si trasformano in inoffensive falene, ma è nello stadio larvale che possono essere pericolosi per gli esseri umani causando forti dermatiti da contatto e nei casi più gravi, sintomi più severi. Spesso è causa di gravi reazioni negli animali, che se ne vengono a contatto sviluppano reazioni gravi e nel caso di ingestione può addirittura essere fatale.
Il pericolo è rappresentato dai peli urticanti che ricoprono il corpo della processionaria e sono rilasciati nell’aria quando il bruco è in pericolo, provocando reazioni cutanee, alle mucose, agli occhi e alle vie respiratorie. Il periodo di maggior rischio di contatto con le processionarie inizia con i primi caldi dell’anno, fase in cui solitamente le larve abbandonano i nidi e gli alberi su cui si trovano, e dura almeno fino alla fine di aprile.
Verso la fine di agosto, una volta compiuta la metamorfosi, gli esemplari adulti (falene) emergono dal terreno durante i mesi estivi e le femmine cercano la pianta adatta per deporre le uova in un unico ammasso.Alla fine del mese seguente, le uova si schiudono dando origine alle larve che fin dalla nascita, queste larve sono estremamente voraci degli aghi della pianta sulla quale sono nate.
Con l’arrivo del freddo, si riuniscono tutte nel caratteristico nido sericeo, costruito nella parte più soleggiata della chioma, all’interno del quale affronteranno l’inverno. Alla fine dell’inverno, con i primi caldi, le larve riprendono la loro attività e verso la fine di aprile, scendono dall’albero, si interrano e trascorrono qualche mese allo stato di crisalide, per poi riemergere dopo la metamorfosi durante i mesi estivi dando così inizio ad un nuovo ciclo.
Come abbiamo accennato all’inizio, la processionaria in stato larvale, è pericolosa per l’uomo, ma allo stesso tempo provoca molti danni anche alla pianta infestata, primo tra i quali il defogliamento dell’albero che ha come conseguenza la limitazione della capacità di fotosintetizzare.
Le infestazioni ripetute negli anni, influiscono negativamente sugli accrescimenti, indeboliscono la pianta e possono portarla al disseccamento totale. La lotta alla processionaria in Italia sè diventata obbligatoria per legge (D.M. del 30/10/2007) in tutte le aree in cui la presenza del lepidottero minacci seriamente la produzione o la sopravvivenza del popolamento arboreo e in tutte le zone in cui possa rappresentare un rischio per la salute umana e per la salute degli animali.
La lotta alla processionaria si può realizzare con diversi metodi e tecniche, e bisogna prestare molta attenzione anche allo smaltimento delle larve e dei nidi, per questo dopo l’avvistamento di uno o più nidi, e consigliabile rivolgersi ad un professionista, che saprà come eliminarla.
Ci sono diverse cose da considerare quando si decide di acquistare un nuovo tosaerba. Ecco alcuni consigli per aiutarvi a trovare il rasaerba perfetto per le vostre esigenze:
Il Motore
acquistare un tagliaerba con un motore di qualità e adatto alle proprie esigenze è un passaggio fondamentale. Motori a scoppio o elettrici alimentano piccoli e grandi rasaerba, fatta eccezione per i trattorini da giardino che vanno solamente a benzina.
La dimensione del vostro giardino
le dimensioni contano! Conoscerle vi aiuterà a determinare il rasaerba più adatto alle vostre esigenze. Generalmente, un rasaerba a spinta è una buona scelta per i giardini di medie dimensioni. Più piccolo è il vostro cortile, più piccolo potrà essere il piatto di taglio.
Il tipo di terreno
per un piccolo cortile pianeggiante si può optare per un normale tosaerba a spinta. Se il vostro cortile è in pendenza o collinare, è opportuno prendere in considerazione un tagliaerba semovente. Un tosaerba a spinta con grandi ruote posteriori è la soluzione migliore per i terreni accidentati. Tutti i rasaerba a motore sono in grado di affrontare terreni variegati, anche se alcuni rasaerba si muovono meglio di altri sui pendii.
Le vostre condizioni fisiche
nella scelta di un tosaerba bisogna tenere conto dell’età e della condizione fisica dell’utilizzatore. Un tosaerba semovente è probabilmente la migliore soluzione e può essere adatto anche per un cortile molto piccolo, nel caso spingere un tosaerba risulti per l’utente un’attività particolarmente faticosa.
La lama
scegliere un tagliaerba adatto alle proprie esigenza significa anche valutare il tipo di lama che può essere montata. Un rasaerba mulching, ad esempio, ha una lama speciale che sminuzza finemente l’erba tagliata, depositandola sul prato; quest’ultima fungerà quindi da fertilizzante naturale e non sarà pertanto necessario raccogliere e smaltire i ritagli.
Lo scarico dell’erba
i ritagli, fatta eccezione per la pacciamatura, possono essere scaricati lateralmente o posteriormente. Ciò significa che sarà poi premura dell’utente raccogliere successivamente i cumuli d’erba lasciati sul prato. La più popolare come opzione sono i modelli con sacco, che permettono un rapido smaltimento dei ritagli.
In passato, con l’espansione delle città, si è iniziato a piantare alberi in viali, parchi e giardini a causa di tutti gli effetti positivi che quest’ultimi hanno in ambito urbano come filtrare l’aria, mitigare il clima e dare un migliore benessere psicofisico.
Nel corso del tempo però, a fronte dei numerosi incidenti, ci si è venuti a trovare nella condizione in cui gli alberi dovevano essere gestiti, curati e quindi potati. All’epoca i migliori esperti di piante erano gli agricoltori e gli operatori forestali che , in quanto tali, sono stati impiegati per gestire le alberature urbane.
Pur facendo del loro meglio e mettendo in pratica tutte le nozioni e l’esperienza in loro possesso, con gli anni ci si iniziò ad accorgere che non si era risolto il problema, perché anche alberi potati, continuavano a schiantarsi e ribaltarsi. Il motivo, era che le tecniche di potatura portate su gli alberi ornamentali, pur essendo molto efficaci per produrre frutti o legna da opera, non lo erano altrettanto per mantenere sicure ed in salute le piante in città.
Tutto questo però, venne capito solo intorno agli anni settanta, quando Alex Shigo dopo avere condotto per circa venti anni studi su gli alberi, formulò una serie di teorie che spiegavano come funziona il “sistema albero” e quali sono le sue strategie di difesa dalle aggressioni esterne.
Shigo scoprì, tra le altre cose, che gli alberi non sono in grado di richiudere i tagli di grande diametro in tempi brevi e mentre questo avviene, i funghi lignivori iniziano a nutrirsi del legno disgregandolo e creando carie all’interno dei rami e del fusto, indebolendo così la stuttura. Gli errori più frequenti commessi in potatura quindi, sono proprio le capitozzature con conseguente eliminazione di gran parte o tutta la chioma (considerate che un’albero nel pieno delle forze ha come limite l’asportazione di non più del 20% della massa fotosintetica).
Gli alberi esistono da milioni di anni, da molto prima dell’uomo, sono gli organismi viventi piu grandi e longevi che esistano. La loro lunghissima evoluzione gli ha portati ad essere organismi quasi perfetti, capaci di sfruttare al meglio le risorse del luogo in cui radicano e soprattutto di adattarsi all’ambiente che li circonda e di modificarsi in base alle variazioni ambientali, come il cambio della disponibilità di luce, il cambiamento delle sollecitazioni provocate dal vento, o dal peso stesso dei rami che aumenta durante la crescita. Quella degli alberi è una biologia che si basa su delicatissimi equilibri ed è solo grazie a loro, se è possibile la vita sul nostro pianeta.
Le grandi altezze raggiunte dalle cime o le pesanti branche orizzontali che sembra debbano rompersi da un momento all’altro sono stupende opere di ingegneria, costruite con anni e anni di adattamento e modificazioni ed è a tutto interesse dell’albero mantenerle stabili. Ogni taglio che noi eseguiamo, è comunque una privazione, una modificazione ad una struttura praticamente perfetta delle esigenze di ogni singolo esemplare, cercando di assecondarne la vita attraverso lavori mirati alla sua salvaguardia, valutando di volta in volta il caso specifico.
Sono assolutamente da evitare qualsiasi tipo di capitozzatura, cioè l’eliminazione totale o parziale della chioma tramite tagli di grosso diametro, in quanto creano una serie infinite di danni, che porteranno con il tempo alla morte dell’esemplare. Tagli di grandi branche, creano grosse ferite che sono una porta d’accesso ai funghi che degradano il legno. In corrispondenza dei tagli iniziano a crearsi carie del legno che indeboliscono la struttura, mentre per cercare di recuperare il volume di foglie tolte, l’esemplare emetterà numerosi ricacci in rapida crescita verticale che non faranno altro che infittire la chioma aumentando l’effeto vela da parte del vento.
Inoltre questi ricacci, ad intervalli di 3-4 anni, dovranno essere diradati e ridimensionati, perché le inserzioni non sono stabili e lasciarli crescere vuol dire andare in contro a rischio di sbrancamento (rottura di grossi rami nel punto di inserzione). Si può ben capire, che in questo modo i costi di manutenzione aumentano considerevolmente, a differenza di una corretta potatura che in media richiede turni di intervento distanziati di 6-8 anni.
Un altro fattore assolutamente da non sottovalutare, è che all’eliminazione parziale o totale della chioma, corrisponde la morte di parte delle radici. Anche le radici, come il fusto e le branche sono soggette all’attacco dei funghi cariogeni e quindi l’ancoraggio al terreno e la stabilità della pianta sono minati. Se un albero capitozzato non viene ridotto di volume costantemente, avremo come risultato che l’ apparato radicale sarà inadeguato a sorreggere l’esemplare e si andrà in contro al rischio di ribaltamento.
Questi interventi, oltre a creare i danni sopra descritti, spingono l’albero ad emettere in corrispondenza dei tagli, un gran numero di ricacci in rapida crescita verticale, per cercare di recuperare nel minor tempo possibile, il volume fogliare perso, visto che le sostanze fotosintetizzate sono la fonte di nutrimento dell’albero. Questo è il vero motivo di una risposta così vigorosa dopo una potatura e non come si crede, sintomo di benessere perchè la potatura rinforza le piante!
Questi ricacci nel giro di alcuni anni diventeranno veri e propri rami, che andranno ad infittire la chioma aumentando l’effetto vela da parte del vento e l’inserzione alla base sarà debole e instabile, in quanto la parte “viva” dell’albero è quella più marginale, più vicina alla corteccia ed è da questa zona che nascono i rami, mentre all’interno i funghi continuano a degradare il legno. Non ultimo l’asportazione di gran parte della chioma, sottopone l’albero ad un forte stress ed all’eliminazione di moltissime sostanze elaborate durante la fotosintesi, costringendo ques’ultimo ad un’enorme sforzo per la sopravvivenza. Non a caso capita spesso che alcuni anni dopo una capitozzatura, si assista alla morte dell’albero.
Ma la cosa più pericolosa e che dovrebbe di più fare riflettere, è che la capitozzatura, provoca morte di una parte dell’ apparato radicale, perchè ogni singolo apice aereo è collegato alle radici e l’asportazione di legno “sopra” corrisponde all’eliminazione di legno “sotto”, quindi anche in questo caso si espongono le radici ad un danno come i rami ed in egual modo all’aggressione di funghi. In questo caso le radici però, non hanno la stessa reattività dei rami nel rispondere al problema, oltre al fatto che un fungo che aggredisce le radici o il colletto, innesca il riscio crescente nel tempo, di ribaltamento.
Nei modelli matematici che spiegano il rapporto tra vento e alberi, la chioma di questi ultimi viene rappresentata come una vela (cfr K. Mattheck- Bràhler 19). In effetti il paragone è estremamente pratico, soprattutto quando occorre quantificare le forze in gioco, ed esprimerle in termini numerici.
Ma non è propriamente azzeccato, in quanto una vela ed un albero assolvono a compiti diversi. Certo, avere dei numeri su cui ragionare ci rassicura, e ci dà quel senso di controllo con il quale amiamo gestire e catalogare tutti i fenomeni del mondo che ci circonda.
E benché si debba ammettere che ad oggi neppure il più sofisticato modello matematico sia in grado di esprimere con esattezza come un albero dissipi realmente le forze impresse dal vento, il contributo di fisici e matematici alla moderna arboricoltura ed alle valutazioni di stabilità degli alberi resta fondamentale ed ineliminabile.
In soldoni, ed a grandi linee, funziona così: al primo alito di vento le foglie degli alberi si dispongono parallelamente alla sua direzione, e la nostra vela, che per mare è fatta per catturare e trattenere il vento, diventa subito un drappo tutto bucato, a brandelli.
Se il vento rinforza un po’, la resistenza delle foglie trascina il ramo in un dolce piegamento, anche questo atto ad assecondare il vento, non a resistergli; e la nostra vela, giù lacera, riduce addirittura le sue dimensioni. All’aumentare delle intemperanze di Eolo, la strategia si fa più complessa: flessioni e torsioni dei rami dissipano la spinta del vento, e le forze residue vengono scaricate sulle branche principali, sollecitate dunque anch’esse a compiere movimenti che assecondino le spinte del vento.
E così via con un sistema a cascata di trasferimenti di forze residue, fino al fusto, che pure si flette, disperdendo energie e dando un ulteriore contributo alla riduzione delle dimensioni della vela (flettendosi, l’albero si abbassa). Quanto resta della spinta del vento viene ulteriormente scaricata lungo il fusto fino alla zolla radicale, dove si gioca l’ultima partita tra il vento e l’albero.
Quando una vela cattura il vento (o, al contrario, quando il vento cattura una vela: è solo questione di punti di vista), questa oppone la massima resistenza e trasferisce la forza prodotta lungo un ‘albero’ (guarda caso), fino al vascello, consentendogli di scivolare sull’acqua. Quando il vento tenta di catturare un albero, ha a che fare con un individuo sfuggevole, flessibile, dalla forma imprevedibile e sempre mutevole; come lottare con un elastico.
Per questo, senza nulla togliere alla genialità di Mattheck, amando gli alberi prima di tutto per motivi estetici e poetici, se dovessi trovare un paragone del rapporto esistente tra alberi e vento, mi verrebbe in mente lo sforzo di chi tenta di attingere acqua dal pozzo con le mani: per quanto la conchetta sia preparata accuratamente, e le dita sigillino con forza ogni pertugio, alla fine si resta sempre con in mano nient’altro che, appunto, un pugno d’acqua.
L’esperienza del vento tra le fronde, vissuta dall’interno di un albero, vincolati con corde alle cime più alte, è quanto mai illuminante sulla complessità e sulla perfezione dei meccanismi spiegati poc’anzi. Sui platani di Rocchetta Tanaro, ancorati su rami così esili e così lunghi che, in omaggio alla regione che ci ospitava, chiamavamo ‘grissini torinesi’, era sufficiente una bava di vento per veder innescare sotto di sé un carosello incredibile di oscillazioni e ondeggiamenti.
Non è paura quella che assale: al contrario, è un piacevole abbandono tra braccia rassicuranti, che cullano, che desistono docilmente al vento con movimenti ampi e lenti, a descrivere perfette ellissi nel cielo. Alla fine si torna sempre là dov’eri all’inizio, proprio nello stesso punto nel vuoto, in compagnia di quel pezzo di albero che occupa il tuo stesso spazio. L’albero non si oppone al vento: lo asseconda. Non resiste; caso mai desiste.
È nato con il vento; molto spesso è il vento che ne ha trasportato il seme; è cresciuto con il vento, ogni giorno ed ogni notte, per decine di anni, a volte centinaia: una danza continua, incessante. E ovviamente prevista. La sua natura gli impone di dispiegare la chioma alla luce del sole, fonte della sua vita, più in alto di tutti, incontrando e scontrandosi con il padrone indiscusso del regno del vuoto: il vento, a cui anche gli alberi si inchinano.
Soffia il vento, e gli alberi esercitano ciò che fanno ogni giorno della loro vita, che è frutto di un corredo evoluzionistico in marcia da trecentocinquanta milioni di anni. Si può temere che quell’amorevole dondolio ti tradisca? Io, e i miei quattro milioni di anni evolutivi, siamo bambini tra le braccia di questi giganti: incapaci di capire, troppo immaturi per poter anche solo immaginare cosa sia davvero un albero.
Così, con tutta la mia genuina e fanciullesca ignoranza, un bel giorno, uscendo di casa, noto quell’albero, che è sempre stato là, ma lo noto davvero solo adesso: e guarda com’è diventato alto! Ma non sarà pericoloso? Sarà meglio abbassarlo un po’! Da un po’ di tempo a questa parte, i peggiori disastri a danno degli alberi non è il vento a compierli.